lunedì 25 marzo 2013

Italia Esportazioni 2012 e la situazione economica dei paesi in via di sviluppo

Quando l’export diventa necessario” è il titolo di un rapporto pubblicato dalla Sace nel quale viene esaminata la performance dell’Italia sui mercati internazionali e si forniscono previsioni sull’andamento previsto nel prossimo futuro. Di seguito riportiamo un estratto della sezione “Le destinazioni che fanno la differenza”.


ASIA EMERGENTE
I primi segnali di rallentamento dell’area si sono manifestati a inizio 2011; nella seconda metà dell’anno lo scenario è peggiorato con lo scoppio della crisi dei debiti e la conseguente riduzione della domanda dei Paesi europei. L’impatto sui Paesi asiatici è avvenuto principalmente tramite il canale commerciale. Il rischio di scoppio di una bolla speculativa nel mercato immobiliare cinese e il conseguente deterioramento del sistema bancario hanno costituito un ulteriore elemento di instabilità per tutta l’area. La performance è diversa tra i Paesi maggiormente dipendenti dalla domanda europea, come Cina e Vietnam, e quelli con esportazioni diversificate. La Cina ha rivisto i propri piani di sviluppo per contrastare il rallentamento economico. È stato stanziato un pacchetto fiscale da 300 miliardi di euro quasi interamente destinato a grandi infrastrutture.
La riduzione dell’import europeo ha pesato sull’economia vietnamita, già gravata da profondi squilibri macroeconomici (elevata inflazione, basse riserve internazionali e debolezza del settore bancario). Paesi come Malesia e Corea del Sud, seppure anch’essi export-led, presentano fonti di domanda più differenziate, consumi interni sostenuti e bassi tassi di disoccupazione. L’Indonesia può contare su ingenti risorse minerarie e sui progressi economici compiuti nel recente passato. L’India è caratterizzata da problemi strutturali di inflazione e deficit del bilancio pubblico, che lo stallo politico fa fatica a risolvere. Nonostante gli aggiustamenti in atto, la domanda dell’Asia emergente rimarrà più sostenuta di quella mondiale. Il contributo delle importazioni asiatiche alla crescita della domanda mondiale è infatti elevato e previsto in aumento (circa 38%, in media, nel 2014-2016).

AMERICA LATINA
Continuerà a offrire opportunità, ma i rischi sono in aumento. Le criticità arrivano dal deterioramento del contesto globale e di alcune aree in particolare: gli afflussi di capitale da parte dei Paesi avanzati si riducono; le esportazioni di materie prime verso il mercato asiatico, importante fattore di crescita per l’America Latina, rallentano. Diversi Paesi dell’area hanno limitato le politiche espansive per garantire una crescita più sostenibile. Brasile e Cile hanno utilizzato i proventi derivanti dall’export di materie prime per supportare progetti di investimento in infrastrutture o per aumentare i finanziamenti alle imprese. Sono quindi aumentate le pressioni inflazionistiche.
In Brasile si è verificato un apprezzamento valutario, con conseguente deterioramento della competitività delle imprese esportatrici. Il Paese ha conseguentemente adottato politiche per consentire il deprezzamento del real (ad esempio il controllo degli afflussi di capitale di tipo speculativo). Tali misure, unite al deflusso di capitali dall’area latinoamericana, hanno però innescato un deprezzamento superiore rispetto a quello desiderato, spingendo la Banca Centrale a intervenire per contrastare la volatilità del cambio.
L’economia del Messico è invece strettamente legata a quella statunitense e sta quindi beneficiando della sua graduale ripresa. Il resto dell’area latinoamericana sta puntando a ridurre l’eccessiva dipendenza dalla domanda dei Paesi industrializzati. Nei prossimi anni le importazioni latinoamericane di beni cresceranno a tassi inferiori a quelli pre-crisi. A influenzarne il rallentamento saranno politiche fiscali e del credito più  prudenti, oltre agli effetti delle misure protezionistiche adottate dalla fine del 2008.
L’Argentina in particolare ha implementato 133 nuove forme di protezione, tra barriere non tariffarie e trade defence measure (antidumping, compensative e di salvaguardia). I comparti produttivi colpiti sono 467 e i Paesi 151, tra cui l’Italia. In Brasile le 52 nuove misure protezionistiche adottate colpiscono 256 comparti e 132 Paesi (in primo luogo Cina e Stati Uniti, seguiti da Germania e Italia).
Più aperto il Messico, che ha adottato 15 misure rivolte prevalentemente ai Paesi asiatici. Nonostante le misure protezionistiche e il rallentamento della domanda, le esportazioni italiane in Sud America registreranno tassi di crescita elevati (+9,8% nel In Brasile si è verificato un apprezzamento valutario, con conseguente deterioramento della competitività delle imprese esportatrici 2012-2013) aumentando la quota di mercato italiana nell’area. L’export crescerà soprattutto verso il Brasile, il mercato di destinazione per circa metà delle nostre esportazioni in America Latina. Le vendite nel Paese aumenteranno dell’11,6% nel 2012-2013, corrispondenti a 5,6 miliardi di euro. In Messico le nostre esportazioni si stabilizzeranno, nello stesso periodo, su ritmi di crescita significativi (+8,7% pari a 3,6 miliardi di euro ).
Argentina e Cile presenteranno tassi di crescita e livelli simili (circa il 7% per 1 miliardo di euro), ma con profili di rischi e opportunità settoriali molto diversi: rischio politico elevato ma forti legami con l’Italia in Argentina, e contesto infrastrutturale ancora carente ma presenza di ingenti risorse naturali in Cile.

MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA
La Primavera Araba ha impattato sulla performance economica del Nord Africa, dove le prospettive di breve termine rimangono difficili. Egitto e Tunisia hanno introdotto politiche sociali contribuendo però ad aumentare il saldo negativo del bilancio pubblico. In entrambi i Paesi la situazione politica è ancora poco chiara e contribuisce allo stallo economico.
In Libia il saldo di bilancio è tornato positivo non appena gli introiti dall’estrazione di idrocarburi hanno ripreso a fluire. Il contesto operativo instabile rimane però un forte deterrente all’avvio di nuovi progetti di investimento.
L’Algeria è riuscita ad arginare le rivolte anche grazie ai proventi delle materie prime, utilizzati per promuovere riforme sociali. L’incertezza che caratterizza questi Paesi si riflette sulle dinamiche di importazione, anche da partner importanti come l’Italia.
Nei Paesi del Medio Oriente, ricchi di risorse e caratterizzati da redditi pro capite elevati, le proteste si sono diffuse meno.
In Arabia Saudita il timore di un contagio delle rivolte ha indotto il governo a investire 130 miliardi di euro in interventi sociali che porteranno l’avanzo di bilancio a zero nel triennio 2014- 2016. La crescita in Qatar sarà più lenta dato il blocco della produzione di gas naturale liquefatto (gnl) a causa di un eccesso di offerta globale; gli investimenti in infrastrutture sono in aumento (100 miliardi di dollari nei prossimi sette anni), anche in previsione dei mondiali di calcio del 2022.
In Libia il saldo di bilancio è tornato positivo non appena gli introiti dall’estrazione di idrocarburi hanno ripreso a fluire effettuano attività di riesportazione. Il problema dei debiti di società governative nell’Emirato di Dubai (come Dubai World) costituisce ancora un fattore di rallentamento per l’economia. La struttura geografica dell’export italiano di beni nell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa) non dovrebbe subire effetti di lungo periodo dopo le rivolte. Il peso dell’export italiano in quest’area dovrebbe infatti essere simile, nel 2016, a quello del 2010, con alcuni cambiamenti nei singoli mercati.
Nei Paesi nordafricani la situazione sarà sostanzialmente invariata, con la sola eccezione della Libia. Dopo il crollo del 2011 (-77%), le esportazioni italiane nel Paese torneranno a crescere a tassi elevati dal triennio 2014-2016 (+14,2% in media) trainate dai prodotti petroliferi raffinati.
In Egitto e Tunisia la dinamica delle nostre vendite è tornata essere positiva nel 2012 (rispettivamente +13,1% e +14,6%). Le esportazioni in questi mercati saranno influenzate dalle attività di ricostruzione e ammodernamento. Per i nuovi progetti di investimento si prevedono rinvii a causa della carenza di fondi.
Il peso di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sull’export italiano di beni mostra una lieve crescita nel tempo. I tassi di aumento del nostro export si attesteranno intorno al 10 per cento in media nel 2014-2016 con livelli medi pari a 5-6 miliardi di euro. Il traino deriva dalle risorse investite dal governo in Arabia Saudita e dalla graduale ripresa negli EAU. La domanda di questi mercati è rivolta, oltre che ai beni di investimento per progetti infrastrutturali, anche a quelli di alta gamma dei settori più tradizionali, in particolare mobili, gioielli e moda. Anche in Qatar, dopo due anni di risultati negativi a causa del completamento di commesse per impianti, le vendite torneranno a crescere a tassi allineati al resto dell’area (+9,7% nel 2014-2016); i livelli delle esportazioni rimarranno tuttavia più contenuti.

AFRICA SUBSAHARIANA
Per le esportazioni italiane in Africa subsahariana si prevede una crescita dell’8,2% nel biennio 2012-2013, in accelerazione nel triennio successivo. Le vendite di beni in Angola, Nigeria e Sudafrica, in cui si concentra oltre il 50% dell’export italiano, raggiungeranno quasi 4 miliardi di euro nel triennio 2014-2016.
I tassi di crescita più sostenuti si registreranno in Angola e Nigeria, dove le esportazioni italiane aumenteranno rispettivamente del 9,2% e del 10,3% nel 2012-2013. Le vendite sono guidate innanzitutto dai progetti nel settore petrolifero. Più a rilento la performance in Sudafrica (+7%), dove la domanda risente di un tasso di disoccupazione elevato (circa 25%) e di un marcato incremento nell’indebitamento delle famiglie, oltre a squilibri nei conti pubblici e con l’estero. Il Paese rimane comunque la destinazione più importante nella regione, dove nuove opportunità sono rappresentate anche dallo sviluppo di Industrial Development Zone, aree costiere e portuali dove non sono applicati dazi all'importazione.
Il relativo isolamento finanziario ha salvaguardato il subcontinente da eccessive turbolenze, a eccezione del Sudafrica, che ha sperimentato deprezzamento valutario e volatilità dei prezzi. L’aggravarsi della crisi nell’area euro potrebbe tradursi in una contrazione degli scambi, degli afflussi di capitale privati e delle rimesse e degli aiuti internazionali. Le prospettive sono favorevoli, anche se in diversi mercati la crescita sta rallentando. Le entrate da nuove produzioni minerarie e petrolifere, oltre che la ripresa del settore agricolo post-siccità, trainano l’economia. Le In Angola nuove risorse petrolifere si sommano all’espansione dei settori agricolo, manifatturiero e delle costruzioni performance differiscono a seconda dei Paesi. I middle-income countries risentono maggiormente del legame con l’Europa. Il Sudafrica in particolare sta sperimentando deterioramento delle ragioni di scambio e perdita di business confidence. I Paesi oilexporter continuano a beneficiare dei proventi del settore. In Angola nuove risorse petrolifere si sommano all'espansione dei settori agricolo, manifatturiero e delle costruzioni, e alla ripresa degli investimenti pubblici e degli investimenti diretti esteri (Ide).
La Nigeria, pur sostenuta dal petrolio, soffre di condizioni fiscali stringenti e contesto operativo difficile (carenze infrastrutturali, corruzione). Nei low-income country la crescita è supportata dalla ripresa della produzione agricola e dell’offerta di energia idroelettrica, con pressioni tuttavia su inflazione, tasso di cambio e deficit di parte corrente (ad esempio Kenya). Complessivamente i Paesi subsahariani necessitano di una maggiore disciplina che indirizzi la spesa pubblica verso capitoli prioritari (sanità, educazione, infrastrutture).
Progetti petroliferi, ammodernamento infrastrutturale e aumento della classe media alimentano le importazioni dell’intera area. La domanda è rivolta soprattutto alla meccanica strumentale: macchinari per l’estrazione di risorse petrolifere (Angola, Nigeria) e minerarie (Mozambico); per la manutenzione degli impianti di oil & gas; per la trasformazione energetica, specie le rinnovabili (Sudafrica). In molti Paesi vi sono inoltre progetti di ampliamento delle vie di comunicazione (linee ferroviarie standard, linee ad alta velocità), il cui sviluppo è prioritario sia per ridurre l’isolamento geografico che per promuovere nuovi investimenti anche in altri settori (minerario, oil & gas, turismo). Opportunità anche nel settore agricolo, dove nuove esigenze sanitarie e abitudini alimentari favoriscono l’importazione di macchinari per l’imbottigliamento e l’imballaggio.
Questi progetti vedono coinvolte soprattutto le nostre Pmi (specie in Paesi come Kenya, Tanzania e Uganda). Lo sviluppo della classe media sta inoltre modificando i consumi a favore di prodotti di qualità superiore, ai quali sono riconosciuti prezzi più elevati.

EUROPA EMERGENTE
Le economie dell’Europa emergente sono sempre più legate a quelle dell’Europa avanzata. È cresciuta la reciproca importanza commerciale; le esportazioni dell’Europa dell’Est verso l’area euro costituiscono il 15% del Pil della regione. È inoltre aumentata la presenza delle catene produttive europee, specie nel settore automobilistico. La trasmissione della crisi nell’Eurozona è avvenuta attraverso i canali bancario (a causa della riduzione del minor apporto di fondi da parte delle banche controllanti) e commerciale (minore domanda di importazioni), oltre che per la contrazione degli investimenti diretti esteri dell’area euro. Gli afflussi di capitali dall’estero sono negativi nel 2012 in quasi tutti i Paesi. Anche i Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (Csi) sono legati all’area euro, soprattutto per vie commerciali. Nonostante una crescita sostenuta dai prezzi delle commoditiy e la ripresa della produzione agricola in Russia e Bielorussia, l’aggravarsi della crisi ha ridotto le esportazioni di questi Paesi verso l’Eurozona.
Nel gruppo dei Paesi UE emergenti alcuni rischi si sono attenuati, ad esempio gli elevati deficit di parte corrente, ma sono emersi nuovi squilibri come l’aumento dei crediti in sofferenza delle banche e le difficoltà nella gestione dei conti pubblici. Nell’area Csi le prospettive sono diverse tra Paesi esportatori e importatori di energia. I primi (Kazakistan, Russia) beneficiano degli investimenti dall’estero nei settori petrolifero, estrattivo e infrastrutturale; i secondi risentono della debolezza della domanda estera. Un peggioramento della crisi dell’Eurozona ha anche un impatto indiretto, tramite il rallentamento. L’Ucraina risente di vulnerabilità nelle finanze pubbliche, a causa di un aumento nella spesa per salari e pensioni dell’interscambio con la Russia. In Russia il disavanzo pubblico non-oil è più che triplicato dall’inizio della nuova fase di crisi e le riserve petrolifere si sono ridotte.
L’Ucraina risente di vulnerabilità nelle finanze pubbliche, a causa di un aumento nella spesa per salari e pensioni. La Bielorussia dovrà attuare politiche restrittive per ridurre l’elevato tasso di inflazione.
La Turchia continua a crescere ma in modo più moderato rispetto all’ultimo biennio (+2,7% in media le previsioni per il Pil nel 2012-2013); l’economia è sostenuta dai consumi, con impatti positivi su importazioni e investimenti privati. Le esportazioni italiane cresceranno, nel biennio 2012-2013, intorno al 9% in quasi tutti i Paesi dell’Europa emergente. Questo risultato sarà confermato anche nel triennio successivo. Le eccezioni sono Bielorussia e Ucraina, che mostrano tassi di variazione più contenuti nel 2012-2013, ma in accelerazione nel 2014-2016. In Polonia e Romania le nostre esportazioni raggiungeranno livelli molti elevati (rispettivamente intorno a 10 e 7 miliardi di euro in media nel 2012-2013) grazie al buon posizionamento delle imprese italiane in questi mercati. Cresceranno le vendite in Turchia e Russia (+9,9% e +9,1% rispettivamente nel 2012-2013), dato il maggiore dinamismo di queste economie. Risultati positivi sono previsti anche in Slovacchia e Ungheria.
L’importanza dei mercati dell’Europa emergente per l’export italiano continuerà a crescere negli anni successivi. L’export sarà trainato da grandi progetti di investimento nei settori oil & gas – nel caso della Russia – ma anche dallo sviluppo infrastrutturale e dall’interesse per i prodotti italiani più tradizionali come alimentari e moda. L’ingresso della Russia nella World Trade Organization (WTO), a dicembre 2011, ha comportato una riduzione delle restrizioni all’import di beni manifatturieri e agricoli. Inoltre i rapporti di collaborazione tra Pmi russe e italiane si stanno rafforzando. In Polonia circa il 40% delle importazioni di beni è rappresentato dall’automotive; l’indotto di questo settore offre diverse opportunità, considerato il favorevole posizionamento italiano nel Paese. In Turchia l’export italiano è trainato da un incremento dei consumi e della do-manda di beni intermedi e l’Italia è il quarto partner commerciale del Paese. La Romania è una destinazione che sta assumendo sempre più peso e dove nel triennio 2014-2016 si raggiungerà quasi 1 miliardo di euro di beni venduti, grazie a opportunità nel settore infrastrutturale (in particolare materiali da costruzione) e nel food processing. In mercati come Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria i livelli delle nostre vendite sono più ridotti ma i tassi di crescita sostenuti (+8,5% in media nel biennio 2012-2013).

ECONOMIE AVANZATE
Lo shock finanziario, partito dagli Stati Uniti nel 2007, ha avuto l’effetto di deprimere gli investimenti e
i consumi privati americani già nel 2008. Il contagio è avvenuto rapidamente all’area euro, che nel 2009 ha
subito la caduta della domanda statunitense. La risposta americana di politica economica ha tuttavia permesso una ripresa del Paese già dal 2010. Misure insufficienti e squilibri strutturali (debiti pubblici elevati e perdita di competitività) hanno fatto sì che l’impatto sull’area euro sia stato invece maggiore, innescando
un’ulteriore fase di crisi per l’area. I Paesi europei non appartenenti alla moneta unica (come Norvegia, Regno Unito, Svizzera) sono rimasti solo in parte isolati dal pericolo di contagio.
 Il Regno Unito ha sofferto la trasmissione della crisi tramite il canale finanziario. Le previsioni per l’area euro, in assenza di ulteriori shock inattesi, indicano una progressiva ripresa. L’aumento della domanda dell’area nel 2011 è stato temporaneo, seguito nel 2012 da una nuova caduta sia dei consumi che degli investimenti. Dopo un rimbalzo nel 2013, la stabilizzazione si avrà a partire dal 2014. Se in un primo momento i rischi di default erano concentrati in Paesi più periferici (Irlanda, Grecia e Portogallo), le criticità si sono ora estese a economie più core come Spagna e Italia. Permangono forti elementi di instabilità, come il bailout della Grecia, il salvataggio delle banche spagnole e un complessivo timore di contagio a tutta l’area. Il rischio di un ulteriore deterioramento in Europa alimenta preoccupazioni per la crescita degli Stati Uniti.
Il Giappone ha mostrato una certa reattività allo tsunami e al conseguente disastro nucleare di Fukushima di marzo 2011, tornando su tassi di crescita positivi grazie alla ripresa dei consumi privati. Gli “altri” avanzati mostrano una dinamica della domanda più sostenuta, anche in prospettiva. Le esportazioni italiane nell’area euro torneranno a crescere, anche se a ritmi inferiori rispetto al passato e con una progressiva riduzione della quota di mercato. Dopo il rallentamento stimato per il 2012 (+3,3%), una lieve ripresa è attesa per l’anno successivo (+5,9%). Non si riuscirà tuttavia a evitare un ridimensionamento delle quote di mercato dell’Italia nell’Eurozona. Vi sarà però un aumento delle quote negli “altri” avanzati, dove le nostre esportazioni cresceranno a tassi più sostenuti (+7% nel 2012 e +10,2% nel 2013).
I tassi di crescita delle esportazioni italiane di beni nei singoli Paesi avanzati riflettono performance economiche diverse. Le divergenze si hanno innanzitutto tra i Paesi dell’area euro e gli “altri” avanzati. Per il 2013 si prevede infatti una crescita delle nostre vendite a due cifre in Paesi come Giappone (11,5%), Stati Uniti (10,8%), Svizzera (13%) e Norvegia (10,4%), mentre nell’area euro la crescita si attesterà in media su tassi del 6 per cento. Le differenze sono evidenti anche all’interno dell’area monetaria: da un lato i mercati più periferici, dove i risultati saranno scarsi nel 2013 (-3,6% in Grecia; +1% in Portogallo) dall’altro lato le economie più solide come Germania e Francia, che rimangono comunque i primi due mercati di destinazione del nostro export, nonostante tassi di crescita delle vendite deboli rispetto agli “altri” avanzati (rispettivamente, 6,1% e 6,6% nel 2013). I livelli di beni venduti in questi Paesi raggiungeranno rispettivamente, 6,1% e 6,6% nel 2013). I livelli di beni venduti in questi Paesi raggiungeranno rispettivamente 65 e 59 miliardi di euro nel 2016.

Fonte: Ministero degli Affari Esteri

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